Crisi energetica: un maggiore ritorno al carbone
L’ottimismo delle previsioni sul 2022 come l’anno del consolidamento della ripresa economica globale già avviata nel 2021 sta via via scemando.
L’emergenza climatica che sta facendo registrare temperature estreme e una forte siccità dovuta al calo drammatico delle precipitazioni, nonché le tensioni internazionali associate all’attuale conflitto russo-ucraino, stanno difatti minacciando il focus dell’obiettivo di piena ripresa economica dopo oltre due anni di pandemia.
A risentire degli effetti della crisi climatica e della guerra è sicuramente il settore energetico. Nella prima metà del 2022 i prezzi alle stelle sui mercati energetici hanno fatto nascere profonde incertezze in merito all’approvigionamento/sicurezza energetica tanto da spingere i Paesi EU a ricercare vie alternative per svincolarsi dalle dipendenze energetiche estere.
In tale scenario, l’Italia, al fine di massimizzare la propria produzione di energia e fronteggiare la crisi nel breve termine, è ricorsa a un uso più considerevole delle centrali a carbone. A partire dallo scoppio dell’invasione russa in Ucraina, infatti, si evidenzia quasi un raddoppio della produzione a carbone rispetto all’anno scorso: i dati di Entsoe mostrano come nel primo semestre 2022 le centrali a carbone attive sul territorio italiano (ad oggi sono sei: i tre gruppi Enel di Brindisi Sud, i tre gruppi Enel di Torrevaldaliga Nord, i due gruppi Enel di Fusina, i due A2A di Monfalcone, i due gruppi Enel del Sulcis e i due gruppi di Ep Produzione a Fiumesanto) abbiano generato 9,95 TWh contro i 5,52 TWh relativi al primo semestre 2021.
Tale maggiore ricorso al carbone trova giustificazione anche nella minore produzione rinnovabile: in particolar modo il prolungarsi della siccità (ennesimo effetto dei cambiamenti climatici) sta continuando ad acuire la minore disponibilità di risorse idriche traducendosi non solo in una minore produzione di energia idroelettrica,
ma anche in problemi fisico/tecnici legati, ad esempio, al processo di raffreddamento delle centrali termoelettriche e al basso livello dei fiumi che limita di conseguenza il trasporto delle commodities energetiche.
Questo ritorno di un maggiore affidamento alle fonti fossili, nonché il calo della produzione di energia da fonti rinnovabili può essere confermato attraverso il confronto tra i dati sulla produzione nazionale netta di energia relativi al 1° semestre del 2022 e quelli relativi al 1° semestre del 2021, presentanti da Terna nel Bilancio energetico mensile. Quel che risulta è che nel 2022 dei 136,60 TWh totali generati, circa il 37,6% (51,41 TWh) sia derivato da fonti energetiche rinnovabili, mentre un 62,4% (85,17 TWh) da fonti energetiche non rinnovabili, rispetto ai 1
31,91 TWh prodotti nel 2021, di cui il 44% (58,48 TWh) proveniente da FER e il 56% (73,43 TWh) da fonti non rinnovabili.
Nello specifico, se si guarda al dato relativo alla produzione rinnovabile, ossia i 51,41 TWh prodotti nel 2022 contro i 58,48 TWh del 2021, si può facilmente confermare quanto constatato precedentemente, ossia come tale calo di generazione da FER sia dovuto in larga parte al crollo delle risorse idriche. Terna, infatti, riporta una produzione di energia idroelettrica pari a 14,61 TWh nei primi sei mesi dell’anno in corso, contro i 24,00 TWh dell’anno precedente, una riduzione di oltre il 39% tra un anno e l’altro. Per inquadrare al meglio l’attuale situazione di crisi idrica o, ancor meglio, di siccità elettrica, è opportuno soffermarsi sul dato allarmante pubblicato da Entsoe relativo al livello delle riserve idriche nazionali il quale mostra chiaramente un considerevole decremento delle riserve, sia rispetto ai livelli degli anni passati, sia rispetto ai livelli considerati nella norma, con un deficit attuale pari al 41%.
Per quanto concerne il dato relativo alla produzione da fonti non rinnovabili, i numeri sopra citati possono essere ulteriormente confermati grazie alla consultazione dei dati relativi alle offerte pubbliche sui mercati energetici del GME. Quel che risulta è che nel 1° semestre del 2022 gli impianti a carbone ancora attivi sul territorio italiano abbiano effettivamente aumentato la produzione di energia elettrica rispetto alla riduzione a cui si era andati incontro nei precedenti anni (nell’ottica del perseguimento dell’obiettivo di completa decarbonizzazione entro il 2025). In particolare, si osserva in modo chiaro il contributo decrescente del carbone sulla produzione energetica netta nazionale fino al terzo trimestre del 2021; a partire da Ottobre 2021 fino ad oggi si è poi verificata un’inversione di tendenza che ha riportato a un maggior ricorso di carbone come combustile energetico vicino, se non oltre, i livelli del 2019, in particolar modo nelle centrali di Brindisi Sud, Torrevaldaliga Nord, Fusina e Fiumesanto.
Nel dettaglio, la Centrale Termoelettrica di Brindisi Sud, che insieme alla centrale laziale di Torrevaldaliga Nord si contende il primo posto per produzione a carbone, ha generato, nei primi sei mesi dell’anno in corso più che il doppio di energia mediante la combustione di carbone rispetto ai livelli del 1° semestre 2021, ossia 2,01 TWh contro i 0,74 TWh (Δ22 vs 21= +1,27 TWh; Δ22 vs 19= +0,98 TWh).
L’impianto di Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia) risulta aver prodotto 2,62 TWh contro i 1,78 TWh del 1° semestre 2021 (Δ22 vs 21= +0,84 TWh; Δ22 vs 19= +0,38 TWh), aumento di generazione giustificato per fronteggiare nel breve termine la crisi energetica attuale.
Ancora, dalla centrale di Fusina a Venezia risultano esser stati prodotti circa 1,50 TWh nel 2022 contro i 0,68 TWh del 1° semestre 2021(Δ22 vs 21= +0,82 TWh; Δ22 vs 19= +0,15 TWh). Dai livelli decrescenti di generazione dell’impianto (come è evidente dal grafico sottostante) si intuisce come Fusina avesse già dato seguito all’avvio della fase di decommissioning per una riconversione in una centrale a gas: anche in questo caso, però, un ritorno a una maggiore combustione di carbone è da giustificare come risposta all’attuale crisi in atto.
Ultima centrale degna di nota è poi quella di Fiumesanto (Sassari), ossia una delle più importanti realtà produttive della Sardegna nord-occidentale, la quale risulta aver prodotto nei primi sei mesi del 2022 circa 1,58 TWh mediante la combustione di carbone contro gli 1,16 TWh del 1° semestre 2021 (Δ22 vs 21= +1,27 TWh; Δ22 vs 19= +0,98 TWh).

Il ritorno ad una produzione termoelettrica a carbone rispetto al ricorso al gas dipende dal cambio di marginalità tra le due tecnologie. Nel 1° semestre del 2022 si osserva come il delta tra la clean dark spread e la clean spark spread, ossia tra la marginalità di una centrale elettrica a gas piuttosto che di una a carbone, si sia invertito, favorendo il ricorso al carbone.
Dai grafici sottostanti è evidente come nel 2019 si stesse producendo per lo più mediante impianti a gas: questo perché nonostante il prezzo del carbone fosse leggermente più conveniente rispetto a quello del gas, la produzione a carbone doveva sostenere un maggior peso legato alla CO2, rendendo quindi meno favorevole il ricorso a tale tecnologia. A partire da Settembre 2021 comincia a verificarsi, però, un’inversione di tendenza: i prezzi sul mercato del gas iniziano ad esplodere, con una salita in termini di €/MWhe molto più marcata rispetto a quella del carbone, con la CO2 che, invece, continua la sua salita in modo indipendente. Data la salita del gas, produrre a carbone comincia a diventare più conveniente. In prossimità dello scoppio della guerra russo-ucraina il grafico mostra proprio dei picchi di massima convenienza del carbone rispetto al gas, con un delta tra le due spread di oltre i 200 €/MWh.
Prima di riprendere la loro corsa (attualmente in atto) è importante sottolineare come i prezzi del gas abbiano deciso di prendersi un momento di respiro tra maggio e giugno. Nello specifico, quel che si può notare è come la temporanea fase discente abbia portato il delta tra i due prezzi via via a diminuire, riportando il gas (se pur per un lasso temporale breve) ad essere più conveniente rispetto al carbone.
